Archivio di Stato di Prato

La Dimora

Simonetta Cavaciocchi - Il Palazzo Datini

Abitazione pratese del celebre mercante, il Palazzo Datini costituisce uno dei primi e tipici esempi di dimora borghese pre-rinascimentale.


La facciata

Il palazzo che oggi porta questo nome era solo una parte dell'abitazione del Datini, che si estendeva anche nell'isolato di fronte all'attuale ingresso (dove trovava posto una casa con giardino e fondaco) e in un isolato adiacente, dove negli ultimi anni di vita del mercante era situata la stalla, e che tuttora conserva su di un portale lo stemma dei Ceppi.

Il primo nucleo del palazzo situato in porta Fuia, all’angolo tra l'attuale via Rinaldesca e via del Porcellatico, era probabilmente costituito da quel “chasolare, i’ sullo chanto dello Porcellaticho”, che il tutore di Francesco, Piero di Giunta del Rosso, acquistò per lui nel 1354, e che immediatamente sottopose a lavori di ristrutturazione.


 


Pianta delle proprietà Datini   

Il costo di quell’immobile, e dei relativi lavori, ammontò allora ad appena 63lire, 6 soldi. Un edificio assai modesto, quindi, anche se collocato in un’area di pregio, situata al confine con i palazzi dei Rinaldeschi e quelli degli Alberti.

Nel corso degli anni il Datini continuò ad acquisire una serie di edifici contigui, inizialmente destinati ad abitazioni e botteghe di artigiani, che andarono ad ampliare il primo nucleo abitativo, nel quale si era insediato al suo ritorno da Avignone.



L'angolo fra Via Rinaldesca e Via Ser Lapo Mazzei
I primi consistenti lavori, come ci testimonia lo stesso Datini, risalgono al 1383, ed interessarono l’ala prospiciente alla via Rinaldesca; ma quelli più significativi furono compiuti fra il 1387 e il 1390, quando l’edificio, inizialmente ad un solo piano, fu rialzato, e fu costruito il cortile con loggia e pozzo. Nell’immobile che fronteggiava l’ingresso, oltre ad una casa e loggiato dipinto, e ad un fondaco, fu allora realizzato un giardino con tabernacolo sull’angolo, “pieno di melaranzi e rose e viole e altri begli fiori”, di cui lo stesso Datini diceva: “Costa p(i)ùe di fiorini 600: ch’è i stata una grande folìa: sarebe meglio ad avergli messi in uno podere”.

E’ in occasione di questa ristrutturazione, certamente la più consistente, che fu realizzata anche gran parte della decorazione pittorica ad affresco, affidata a Niccolò di Piero Gerini: il San Cristoforo, tuttora ben conservato, concluso solo nel 1394, le 14 figure dipinte nella corte, i 7 vizi e 7 virtù, che adornavano la loggia, assieme ai quattro filosofi impressi nelle lunette (affreschi, tutti, ormai fortemente deteriorati), oltre ad alcuni altri dipinti di cui non abbiamo più traccia.

Agnolo di Taddeo Gaddi e Bartolomeo di Bertozzo eseguivano nel frattempo i lavori più semplici di ornamento: il motivo delle volte a gigli, i “beccattelli” fra le lunette e le figure della loggia, i “pancali”, le colonne, gli sguanci delle finestre, i marmi, un po’ dappertutto; e inoltre, i palchi delle camere, i travicelli, i regoli e bossoli di legno. 

Essi decorarono, inoltre, una delle sale interne, quella “sopra la volta del vino”, con le “pareti dipinte ad alberi” e il soffitto “a gigli gialli in campo scuro, con quattro compassi dipinti con armi

Gli ampliamenti e ristrutturazioni non cessarono comunque, mentre l’edificio si andava arricchendo con l’acquisizione dei corpi immobiliari adiacenti. Nel 1399, tirando le fila di questo suo incessante murare, il Datini calcolò ad oltre 6.000 fiorini il costo complessivo dell’abitazione.  


Volta della prima sala
I lavori realizzati a più riprese nel corso degli anni, e che in realtà terminarono solo poco prima della morte, le decorazioni parietali ad affresco, la ricchezza degli arredi, di cui gli archivi datiniani sono ricchi di testimonianze, trasformarono gradualmente il palazzo in una dimora prestigiosa, che fu più volte utilizzata non solo dal Datini, ma dallo stesso Comune di Prato, per ospitare personaggi di spicco in visita alla città.


Volta della prima sala
particolare


La prima sala a terreno

“... ho fatto una casa a Prato, di costo più che non vale il mio, ove è ordinato dai miei di là che tutti i Podestadi, tutt’i Fiorentini da bene, vi siano ricevuti, ben ch’io non vi sia, e per loro vi tengho parecchie onorate letta...”. In questo brano del carteggio fra Ser Lapo Mazzei e Francesco di Marco Datini, datato 1400, è ben illustrata la funzione di rappresentanza che il Palazzo Datini ebbe per lunghi anni.

Ambasciatori, cardinali, magistrati fiorentini e forestieri, giuristi furono ospitati nel palazzo in occasione della loro venuta a Prato. Tra i nomi più significativi, Matteo d’Humières, ambasciatore di Carlo VI di Francia (1393), Leonardo Dandolo, ambasciatore dei vene­ziani (1397), il Cardinal Pietro d’Ailly, penitenziere maggiore di Alessandro V, che giunse con un corteo di 50 persone” tra piè e cavallo” (1409), l’antipapa Giovanni XXIII, e il re Luigi d'Angiò, che vi soggiornò per due volte, nel 1409 e 1410, e che in occasione della seconda visita concesse al Datini di inserire nel proprio stemma il giglio dorato in campo azzurro.



Il loggiato

Il palazzo fu più volte “dato in prestito” al Comune per organizzare il ricevimento di personaggi particolarmente illustri, come avvenne nel 1392 con Francesco Gonzaga, signore di Mantova, venuto in città ad onorare la Cintola.

Dopo la morte del Datini, la facciata esterna fu totalmente affrescata a spese dei Ceppi con scene della vita del mercante.

L’esecuzione degli affreschi fu affidata nel novembre 1410 dai rettori del Ceppo ai pittori Ambrogio di Baldese, Niccolò di Piero Germi, Alvaro di Piero (meglio conosciuto come Alvaro Pirez d’Evora), Lippo d’Andrea, Scolaio di Giovanni.

L’incarico prevedeva di affrescare 2.200 braccia quadre a marmo; gli artisti dovevano inoltre realizzare 16 storie dipinte della vita di Francesco di Marco Datini, 6 stemmi dei Ceppi in campo d’argento e gigli d’oro, oltre a 15 altri stemmi più piccoli in altre proprietà. Il compenso per ogni “storia” fu di 8 fiorini; i ceppi grandi furono pagati un fiorino e mezzo l’uno; quelli piccoli 20 soldi; gli affreschi a marmi furono pagati 5 soldi al braccio quadro.

 


Il pozzo nel cortile interno

Il compenso complessivo fu di 278 fiorini, 5 soldi, 10 denari, a oro, cui si aggiunsero oltre 60 fiorini di spese per l’acquisto dell’oro e dei colori necessari.

Agli stessi pittori fu affidata la “dipintura del tetto”, per un totale di 464 braccia “a piano”.

Oggi, dell’opera eseguita rimangono solo alcune sinopie, staccate e conservate all’interno del palazzo.

Già agli inizi del ‘900 gli affreschi erano in gran parte perduti, mentre restava una parte delle decorazioni a marmo. Nel 1910, a commemorazione del V centenario della morte del Datini, Giuseppe Catani, assieme con l’architetto Zarini, redassero un progetto di ripristino del palazzo, che prevedeva anche il rifacimento, secondo le concezioni romantiche del tempo, delle scene illustrate. I disegni del Catani, oggi proprietà della CariPrato e conservate nella Galleria di Palazzo degli Alberti, oltre al rilievo dello stato del palazzo in quell’epoca e delle sinopie superstiti, riproducono i tre prospetti di via Rinaldesca, via ser Lapo Mazzei e vicolo del Porcellatico idealmente reintegrati nelle loro linee architettoniche originali, con le decorazioni integrate o rifatte, e una saporosa ricostruzione delle scene di vita del mercante.


Spaccato del sec. XVIII