Archivio di Stato di Prato
La Dimora
Simonetta Cavaciocchi - Il Palazzo Datini
Abitazione pratese del celebre mercante, il Palazzo Datini costituisce uno dei primi e tipici esempi di dimora borghese pre-rinascimentale.
Il palazzo che oggi porta questo nome era solo una parte dell'abitazione
del Datini, che si estendeva anche nell'isolato di fronte all'attuale
ingresso (dove trovava posto una casa con giardino e fondaco) e in un
isolato adiacente, dove negli ultimi anni di vita del mercante era
situata la stalla, e che tuttora conserva su di un portale lo stemma dei
Ceppi.
Il primo nucleo del palazzo situato in porta Fuia, all’angolo tra l'attuale via Rinaldesca e via del Porcellatico, era probabilmente costituito da quel “chasolare, i’ sullo chanto dello Porcellaticho”, che il tutore di Francesco, Piero di Giunta del Rosso, acquistò per lui nel 1354, e che immediatamente sottopose a lavori di ristrutturazione. |
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Il palazzo fu più volte “dato in prestito” al Comune per organizzare il ricevimento di personaggi particolarmente illustri, come avvenne nel 1392 con Francesco Gonzaga, signore di Mantova, venuto in città ad onorare la Cintola.
Dopo
la morte del Datini, la facciata esterna fu totalmente affrescata a spese dei
Ceppi con scene della vita del mercante.
L’esecuzione degli affreschi fu affidata nel novembre 1410 dai rettori del Ceppo ai pittori Ambrogio di Baldese, Niccolò di Piero Germi, Alvaro di Piero (meglio conosciuto come Alvaro Pirez d’Evora), Lippo d’Andrea, Scolaio di Giovanni.
L’incarico prevedeva di affrescare 2.200 braccia quadre a marmo; gli artisti dovevano inoltre realizzare 16 storie dipinte della vita di Francesco di Marco Datini, 6 stemmi dei Ceppi in campo d’argento e gigli d’oro, oltre a 15 altri stemmi più piccoli in altre proprietà. Il compenso per ogni “storia” fu di 8 fiorini; i ceppi grandi furono pagati un fiorino e mezzo l’uno; quelli piccoli 20 soldi; gli affreschi a marmi furono pagati 5 soldi al braccio quadro. |
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Il compenso complessivo fu di 278 fiorini, 5 soldi, 10 denari, a oro, cui si aggiunsero oltre 60 fiorini di spese per l’acquisto dell’oro e dei colori necessari. Agli stessi pittori fu affidata la “dipintura del tetto”, per un totale di 464 braccia “a piano”. Oggi, dell’opera eseguita rimangono solo alcune sinopie, staccate e conservate all’interno del palazzo. |
Già agli inizi del ‘900 gli affreschi erano in gran parte perduti, mentre restava una parte delle decorazioni a marmo. Nel 1910, a commemorazione del V centenario della morte del Datini, Giuseppe Catani, assieme con l’architetto Zarini, redassero un progetto di ripristino del palazzo, che prevedeva anche il rifacimento, secondo le concezioni romantiche del tempo, delle scene illustrate. I disegni del Catani, oggi proprietà della CariPrato e conservate nella Galleria di Palazzo degli Alberti, oltre al rilievo dello stato del palazzo in quell’epoca e delle sinopie superstiti, riproducono i tre prospetti di via Rinaldesca, via ser Lapo Mazzei e vicolo del Porcellatico idealmente reintegrati nelle loro linee architettoniche originali, con le decorazioni integrate o rifatte, e una saporosa ricostruzione delle scene di vita del mercante.