Questa lettera è scritta da Piero, figlio del notaio ser Lapo Mazzei, il principale consulente in pubbliche relazioni, tecnico giuridico e al contempo guida spirituale di Francesco. Ser Lapo, buon padre di una famiglia numerosa, è desideroso di orientare i figli verso carriere da artigiani o mercanti. Francis, in cambio dei suoi servizi, riserva un posto al figlio in una delle sue aziende e all’inizio lo accoglie perfino in casa sua per meglio seguirne l’apprendistato e apprezzarne le qualità.
La lettera si colloca qualche settimana prima della partenza di Piero da casa. Una lettera del padre, dello stesso giorno, allude alla presente come la prima scritta dal ragazzo: “Egli vi scrive una lettera, ed è la prima mai fé, per darvi piacere”. Al tempo, il ragazzo ha una decina di anni, dice di aver cominciato a scrivere da soltanto 3 mesi ma evoca già quella che sarà la seconda tappa dell’educazione mercantile: la scuola d’abaco, che ha cominciato a frequentare e non può lasciare senza rischiare di perdere le conoscenze acquisite di fresco. Il ragazzo resterà in casa Datini per qualche tempo e vi lascerà anche un quaderno di esercizi di scrittura.
Sarà soltanto nel 1403, dopo un anno trascorso a casa di Francesco e un apprendistato di 18 mesi nell’ufficio del cambiatore Gucciozzo de’ Ricci, che Francesco lo assumerà come fattore per la sua compagnia di Barcellona, di cui Piero farà parte fino al giugno 1411, ben oltre la morte di Francesco. […]
La lettera mette in evidenza l’importanza della scrittura per la pratica mercantile. Nell’Archivio Datini troviamo anche altre lettere redatte da adolescenti alla ricerca di lavoro che rivelano discrete competenze tecniche (scrittura chiara e ben impaginata) e intellettuali (relativamente alla rilevanza del contenuto e alla padronanza del formulario). […]
(Il testo è una sintesi tratta dal sito Correspondances Datini di Jérôme Hayez)
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Piero di ser Lapo Mazzei a Francesco di Marco (ASPO, D.1096, 132719 – trascrizione a cura di Jérôme Hayez)
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Al nome di Dio, amen. Dì 4 di febraio 1398.
Padre mio, Idio v’aiuti sempre! Ò udito da mio padre che mmi volete ora e ciò che farete voi due, sono contento, e volentieri vengo a voi e mona Margherita, e farò sì che no∙ m’arete a dire : “O come ti stavi?”. È vero che da Ogni Santi in qua ò cominc[i]ato aparare a scrivere. Vorrei aparare anche qualche mese sì che la lettera mia non paresse d’uno piçicagnolo. E pur ora, se non ch’io ò lo inançi vi parebono le mie lettere cichaloni di que’ maschi e anche fo con regolo e tuttavia sudo sì mi pesa questa vanga. E pertanto sta a voi. Io sono de’ partitori all’abacho e almeno a Pasqua saprò un pocho meglio, ma io sono presto e mai non mi istarò s’io dovesse tutto dì ischalçare e ricalçare que’ melaranci. Idio v’aiuti! E promettovi che mentro ch’io viverò, dirò per voi ogni dì uno paternostro anche io. Che Dio vi facc[i]a graçia!
Il vostro servo Piero di ser Lapo.
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