Francesco di Marco Datini nasce a Prato attorno al 1335 da Marco di Datino di Toscanello di Accompagnato di Bonfigliolo, taverniere, e da monna Vermiglia. Nel 1348, a causa della terribile pestilenza, rimane orfano di entrambi i genitori e passa sotto la tutela di Piero di Giunta del Rosso e le amorevoli cure di monna Piera di Pratese Boschetti che sempre lo amò come un figlio.
Dopo aver frequentato a Firenze varie botteghe nelle quali apprende l’arte della mercatura e del far di conto, il giovane Francesco, seguendo l’esempio di molti connazionali, nel marzo del 1350, decide di tentare la fortuna all’estero e parte alla volta di Avignone, al tempo sede della Corte Papale e uno dei maggiori centri commerciali d’Europa. Da qui ha inizio la sua luminosa carriera ed il suo successo.
Nel 1376, ormai ricco ed in età matura, mentre è ancora ad Avignone sposa, con grande sfarzo, una giovane fiorentina, Margherita di Domenico di Donato Bandini.
Dal 1378 le complesse vicende del papato fanno sì che Avignone perda alquanto della sua attrazione. Datini alla fine del 1382, quindi, decide di rientrare in patria. Accumulati forti capitali e soprattutto costruita una fitta rete di rapporti con le piazze mercantili del Mediterraneo e del nord Europa, dà vita a un complesso sistema di aziende.
Una volta a Prato, dà inizio alla costruzione del Palazzo, arricchendolo – com’era in uso nelle famiglie più facoltose – di affreschi commissionati ai migliori maestri di Firenze (più tardi costruirà anche una residenza, la Villa del Palco, nelle sue proprietà terriere, a Filettole.
In virtù delle prestigiose posizioni raggiunte in campo economico il Comune di Prato gli offre la carica di Consigliere e poi quella di Gonfaloniere di giustizia, riconoscimenti che il Datini non sembra troppo gradire preferendo di gran lunga la cura degli affari. Sul piano sociale, invece, stabilisce rapporti di stima ed amicizia con i maggiori operatori economici italiani e stranieri e la sua casa di Prato, notoriamente ospitale, attira non poche visite illustri come Francesco Gonzaga (Signore di Mantova), Leonardo Dandolo (Ambasciatore della Repubblica di Venezia) e il re Luigi II d’Angiò di passaggio a Prato nel 1410, in occasione di una nuova sua discesa verso l’Italia centrale. In quella occasione il re angioino dona al mercante pratese il giglio di Francia da aggiungere al suo stemma: “giglio” che secondo il commento ironico del socio Luca del Sera, gli è costato un prestito di 1000 fiorini d’oro!
Francesco Datini muore nella sua casa pratese, il 16 agosto 1410, ed in mancanza di eredi diretti lascia tutti i suoi beni, valutati attorno ai 100.000 fiorini d’oro, ai poveri della sua città istituendo una fondazione che tutt’oggi esiste: il Ceppo dei poveri di Francesco di Marco.
Con le sue sostanze, il mercante pratese lascia – e questa volta al mondo intero – un’altra ricchezza, preziosissima: il suo archivio, il quale costituisce, con le dovute riserve ed integrazioni, il punto di partenza per molti studi sulla vita economica e sociale di fine Trecento.